SUD SUDAN: UNA TERRA SENZA PACE
18 febbraio 2018
Cari amici di Nichelino,
eccomi qui a scriver vi ancora dall’Africa. Avevo promesso di raccontarvi qualcosa di questa bella, travagliata,
instancabile, vibrante e interessante terra. Poi, il lavoro e le continue missioni che mi hanno portata in tanti Paesi, mi
hanno assorbita. Mamma quanti aerei mi tocca prendere…
Ci tengo a ringraziarvi per la vicinanza, non passa settimana senza che mamma e papà mi portino i saluti di molti di
voi. Seguo con piacere le avventure “in Crocera” grazie al web e al filo diretto con il mitico don Mario. Si respira aria di
creatività e comunità a Regina Mundi, che bello! Grazie anche a tutti quelli che non mancano di mandare foto, video
o audio da Nichelino e dintorni, si sente meno la nostalgia in questa “nuova” casa a Nairobi, che piano piano si sta
popolando di amici.
Oggi ho deciso di scrivervi nuovamente perché, come saprete, Papa Francesco ha voluto dedicare una giornata di
preghiera e digiuno alle popolazioni martoriate dalla guerra, in particolare quelle del Sud Sudan e Repubblica
Democratica del Congo, per il prossimo 23 febbraio. Parlando con don Mario, abbiamo pensato che sarebbe stato bello
raccontarvi qualcosa del Sud Sudan, una terra bella ma distrutta dalla guerra che ho avuto l’opportunità di visitare un
paio di volte e che occupa buona parte del lavoro mio e di moltissimi altri colleghi sia negli uffici italiani sia in quelli
africani.
Il Sud Sudan si estende con una superficie 644.330 Km2, si trova nell’Africa dell’est e confina con: Sudan, Etiopia,
Kenya, Uganda, Repubblica Democratica del Congo e Repubblica Centrafricana.
Dal 2011 è il più giovane Stato al mondo quando, dopo oltre 20 anni di guerriglia e un referendum, le popolazioni
dei territori del Sudan meridionale ottennero l’indipendenza. Fu subito chiaro che il processo di pace non
sarebbe stato facile, vista la disomogeneità di questa terra dove convivono più di 60 etnie diverse e ci sono
da sempre grandi interessi che ruotano intorno a un sottosuolo ricco di risorse, come il petrolio. Dal 2013
le tensioni interne sono sfociate in una guerra civile tra le truppe del presidente Salva Kiir e quelle dell’ex
vicepresidente Riek Machar, strumentalizzando le divisioni tra i Dinka e i Nuer e alimentando rivendicazioni
storiche. Nell’agosto 2015 fu siglato un accordo di pace che non è mai stato rispettato. Un ultimo tentativo
è stato fatto lo scorso 22 dicembre ad Addis Abeba, nella vicina Etiopia, quando le parti si sono impegnate a
rilanciare il precedente accordo di pace firmando un’intesa per il “cessate il fuoco”, purtroppo ancora disattesa.
Non è solo la guerra, però, ad affliggere questa terra che si trova in una delle regioni più colpite da una perdurante
crisi ambientale che è stata definita “man made”, cioè creata dall’uomo. A febbraio 2017 è stato dichiarato lo
stato di “carestia” in 2 contee a nord del Paese. Nello stesso mese anche un’epidemia di colera in molte aree.
Dopo gli appelli internazionali e un intervento tempestivo, la crisi è rientrata pur restando la situazione molto
critica.
La combinazione di diversi fattori quali l’instabilità politica, il conflitto, la siccità che sta colpendo tutto il corno
d’Africa e una grave crisi economica, ha infatti provocato una disperata mancanza di cibo, violenze diffuse e un
massiccio esodo umano.
Le Agenzie delle Nazioni Unite stimano che più di 7 milioni di persone necessitano urgentemente di assistenza
umanitaria. L’Alto Commissariato delle Nazione Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha reso noto che dall’inizio del
conflitto 1 sud sudanese su 3 ha cercato protezione sia all’estero sia entro i confini nazionali, il 90% sono donne
e bambini. Solo nel 2017 in Uganda sono stati registrati 194.000 rifugiati e richiedenti asilo. In totale, dal 2013,
circa 2.5 milioni di persone sono fuggite all’estero verso i sei Paesi confinanti dove, peraltro, la situazione
politica ed economica era già difficile. Gli sfollati interni sono ormai 2.1 milioni. Come ha affermato Filippo
Grandi, Alto Commissario dell’UNHCR, “il costo umano del conflitt o in Sud Sudan ha raggiunto proporzioni
epiche”, soprattutto se si pensa che il numero dei rifugiati non è destinato a diminuire ma a raggiungere i 3
milioni entro il 2018, “rendendo la crisi sud sudanese la più grave dai tempi del genocidio in Ruanda”. Secondo
i dati pubblicati a dicembre 2017 dall’Unicef, circa 3 milioni di bambini sono in condizioni di grave insicurezza
alimentare e oltre 1 milione soffre di malnutrizione acuta. Moltissimi gli orfani. 2.4 milioni i bambini che hanno
dovuto abbandonare le proprie case, 2 milioni di bambini non frequentano le scuole e, in prospettiva, solo 1
bambino su 13 avrà la possibilità di finire la scuola primaria.
Le scuole, infatti, fanno fatica a riprendere in alcune zone, mentre in altre non hanno mai riaperto. Nel mese
di febbraio, in occasione della giornata internazionale contro l’utilizzo dei bambini soldato, l’ong Human Right
Watch ha pubblicato un rapporto con dati allarmanti sul Sud Sudan. Come stimato dall’Unicef, più di 19.000
bambini sono stati reclutati da forze e gruppi armati e almeno 2.300 sono rimasti uccisi o feriti dall’inizio del
conflitto.
A presto, vi abbraccio e vi auguro un bel cammino di Quaresima.
Nicoletta
Sono state realizzate delle interviste a ex-bambini soldato che raccontano di essere stati rapiti dai soldati di
entrambe le fazioni in lotta nelle loro case o mentre si trovavano in strada, trattenendoli per giorni o intere
settimane in celle sovraffollate. Diversi di loro testimoniano di essere stati sottoposti a un duro addestramento
e di aver subito brutali punizioni fisiche, talvolta culminate in una prolungata detenzione in celle d’isolamento.
Tra le vittime anche bambini di 13 anni.
Gli ospedali sono al collasso: mancano medicinali, strutture operatorie adeguate e personale. E, addirittura,
spesso non si riesce a garantire un accesso sicuro a fonti di energia, base per il funzionamento di strutture e
servizi, e all’acqua.
Le atrocità continuano e gli episodi di violenza e ruberia sono all’ordine del giorno, costringendo famiglie
intere, anziani, disabili, giovani e bambini a spostarsi continuamente senza trovare stabilità. Molti raccontano
di aver visto la loro casa bruciare, i familiari feriti o uccisi e perdere terreni e bestiame. Le vie di comunicazione
funzionano a singhiozzo, a causa dell’insicurezza e delle condizioni ambientali. Essendo il conflitto sempre in
atto, mentre gli equilibri militari sul terreno cambiano costantemente, non ci sono zone in cui vi sia la certezza di
un passaggio sicuro. I mezzi di trasporto scarseggiano, le strade sono in pessime condizioni. Se ti devi spostare,
meglio essere così fortunati da potersi permettere un biglietto aereo, anche per brevi distanze. Gli aeroporti,
poi, non sono come quelli che siamo abituati a frequentare, ma trattasi di alcune tende fornite dalle Agenzie
delle Nazioni Unite dove il biglietto può anche essere semplicemente trascritto a mano.
Il deficit fiscale, l’inflazione che raggiunge livelli altissimi, la corruzione e il mercato “nero” rendono quasi
impossibile sia in aree rurali sia in aree urbane mettere insieme il minimo indispensabile per mangiare ogni
giorno. In alcune zone solo il 3.1% della popolazione riesce ad avere 3 pasti al giorno.
Sono stati riferiti anche centinaia di violenze sessualisu donne e minori in tutto il Paese. Un giudice internazionale
con molta esperienza in crimini di guerra, ha dichiarato che in Sud Sudan si ricorre alla violenza sessuale come
mai prima e Amnesty International ha fatto un appello al Governo perché intervenga. I Vescovi cattolici hanno
alzato la voce, denunciando gli abusi che la popolazione continua a subire anche quando trovano rifugio in chiese
o campi per sfollati delle Nazioni Unite. In una lettera pastorale hanno definito “crimine di guerra” ogni tipo di
violenza, omicidio, tortura e stupro di civili, preoccupandosi fortemente per la totale mancanza di rispetto per
la vita umana. Tante ONG e Organizzazioni della Società Civile, la Conferenza Episcopale del Sud Sudan insieme
a tante altre Conferenze Episcopali di tutto il mondo, la Caritas del Sud Sudan insieme a tutta la rete mondiale
Caritas, tanti professionisti e volontari locali si prodigano instancabilmente per portare assistenza umanitaria e
spirituale, invocando fermamente il ritorno alla PACE. Se pensiamo al Sud Sudan, ricordiamoci prima di tutto di
tutte quelle persone che, nonostante tutto, sono rimaste e ogni giorno lavorano instancabilmente e danno voce
a questa terra martoriata perché qualcosa possa cambiare, perché il futuro non sia solo una mera illusione…
A presto, vi abbraccio e vi auguro un bel cammino di Quaresima
Nicoletta
EL NIÑO IMPERVERSA, MA LA CRISI È FATTA DALL'UOMO
9 giugno 2017
Nel seguente link potrete leggere un articolo scritto a me sulla crisi in Africa.
"El niño imperversa, ma la crisi è fatta all'uomo"
Nicoletta
KARIBU NAIROBI
7 aprile 2017
Cari amici di Regina Mundi,
vi scrivo da Nairobi, in Kenya, dove ormai sono arrivata da circa quaranta giorni. Dal momento che più volte mi è stato chiesto di condividere qualcosa di questa mia nuova avventura africana, ne approfitto per raccontarvi qualcosa, ma, soprattutto per ringraziarvi di tutto l’affetto che mi avete dimostrato. Non passa settimana che mamma Luciana e papà Nicola non mi portino i saluti di qualcuno di voi, raccontandomi che spesso chiedete mie notizie.
Vi ringrazio e vi dico che sto bene, anche se un po’ si sente la nostalgia di casa, degli amici di sempre e di quei luoghi che sono un punto di riferimento. Piano piano mi sto ambientando: ho trovato una casa in condivisone con un ragazzo e una ragazza indiani, ho riaperto l’ufficio che Caritas Italiana aveva già presso un centro di formazione dei Padri Comboniani e sto imparando a muovermi in questa grande e caotica metropoli. Il lavoro da fare è tanto, sono impegnata su più fronti e con tante emergenze che richiedono un’attenzione costante, dalla guerra in Sud Sudan che continua a seminare terrore nell’indifferenza di molti all’emergenza siccità che sta colpendo Kenya, Etiopia e molti altri Paesi. Senza dimenticare che la parte più importante del mio lavoro sta nel tessere relazioni e curarle nel tempo. Prima di tutto con le sei volontarie del Servizio Civile all’estero che sono basate in tre città diverse (Kahawa, Mombasa e Nyeri) e che rappresentano per noi gli occhi, le orecchie e le braccia di Caritas tra le comunità locali che accompagniamo con progetti diversi, poi con i tanti partner che sosteniamo con diversi interventi. Spostarsi qui richiede tempo, così molte volte una semplice visita a un progetto si trasforma in una “gita” di uno o più giorni e anche solo andare in centro a Nairobi nelle ore di punta, talvolta, porta via più ore quando normalmente basterebbero 30 minuti. Al calar del sole è consigliato non girare da soli e soprattutto a piedi, così non ho mai preso tanti taxi in vita mia. Le giornate iniziano molto presto e finiscono quando voi siete ancora a cena.
La città è enorme, ci sono quartieri molto diversi tra loro con comunità altrettanto multietniche. Vivere a Nairobi, però, può essere molto stimolante perché ricca di offerte, ma, allo stesso tempo può tenere lontani dalla realtà del Paese e difficilmente si entra in contatto con la vera tradizione keniota e con i veri problemi. È lampante il gap che c’è tra la classe media, rappresentata da espatriati e professionisti kenioti, e la maggior parte della popolazione che vive in condizioni molto più umili, se non di estrema povertà. A pochi passi dalla zona in cui vivo e lavoro, ad esempio, c’è uno dei più grandi slum di Nairobi, Kibera, ma difficilmente se ne ha la percezione. Sicuramente andrò a far un giro e, se ce ne sarà occasione, ve ne parlerò ancora.
In tutto questo turbinio di scoperte, una costante mi sorprende sempre: l’accoglienza e la disponibilità. C’è una rete molto bella di giovani (e anche non) espatriati provenienti da tanti Paesi oltreché kenioti che si prodiga per offrire un tè, un caffè, un pranzo o una semplice chiacchierata. Forse l’essere tutti lontani da casa ci fa sentire più aperti all’incontro perché ci ricordiamo com’è arrivare da soli in un posto lontano e iniziare una nuova avventura. Un grazie speciale va sicuramente alla collega Elena, che mi ha preceduta in questo ruolo, e mi ha accompagnata in questi primi giorni a Nairobi facendomi conoscere colleghi, amici e luoghi che da ora faranno parte di una nuova quotidianità.
Con la speranza di tornare presto a salutarvi di persona, vi auguro BUONA PASQUA e vi ringrazio per l’affetto che dimostrate a me e alla mia famiglia. Vi seguo da lontano grazie a internet, so che la comunità sta camminando insieme verso nuovi traguardi, vi ricordo nella preghiera e vi abbraccio. Voi non dimenticate di pregare per noi, soprattutto per il Sud Sudan e per la siccità che ci preoccupa.
Nicoletta